A cinquecento anni dalla prima edizione dell’«Orlando Furioso» con Luigi Murolo, dottore di ricerca, docente di Filosofia e Storia nei Licei.
Davide Aquilano, presidente della sezione di Italia Nostra del Vastese
Agenzia per la Promozione Culturale, via Michetti, 63
Martedì, 6 dicembre 2016 h. 17,00
In collaborazione con l’ufficio Agenzia per la Promozione Culturale di Vasto – Servizio Beni e Attività Culturali della Regione Abruzzo.
Presentazione
1516-2016. Il mezzo millennio che ci divide da quella fatidica data rende la lontananza più vicina di quanto non possa oggi sembrare. Tra i contemporanei, va in profondità la forza narrativa di messer Ludovico: Italo Calvino, David Lodge, Salman Rushdie, Russell Hoban per citarne alcuni. E se poi muoviamo dal canto IV, 18 del Furioso dove Ariosto parla dell’ippogrifo – «Non è finto il destrier, ma naturale, / ch’una giumenta generò d’un grifo: / simile al padre avea la piuma e l’ale, / li piedi anterïori, il capo e il grifo; / in tutte l’altre membra parea quale / era la madre, e chiamasi ippogrifo; / che nei monti Rifei vengon, ma rari, / molto di là dagli agghiacciati mari» –, ci troviamo subito a incontrare la Rowling della saga di Harry Potter che, in prospettiva postmoderna, ne Il prigioniero di Azkaban, costruisce la figura di Fierobecco, un ippogrifo del tutto simile a quello ariostesco. Con un’unica differenza. Che quest’ultimo ha la testa di grifone, l’altro di cavallo.
Possiamo raccontare, oggi, i cinque canti del Furioso in cui è citato «il Vasto»? Ve l’immaginate, nel 1531, trovare Ludovico Ariosto che, come ambasciatore del duca Alfonso I d’Este, si reca a Correggio per ottenere l’appoggio imperiale di Alfonso d’Avalos contro l’esercito pontificio attestato a Bologna? E ve l’immaginate il Poeta ricevere in omaggio dallo stesso marchese del Vasto una pensione di cento ducati d’oro annuali da prelevarsi sui suoi possedimenti di Castelleone? Tutto questo può passare inosservato, in città, nel cinquecentesimo anniversario della pubblicazione dell’Orlando Furioso?
Chi era Alfonso d’Avalos? Qual è stato il suo ruolo politico-militare nell’Europa di Carlo V? E del suo rapporto con gli artisti e i letterati del tempo? Sono queste alcune delle risposte che
«Italia Nostra» del Vastese intende prospettare nel seminario del 6 dicembre. A partire dalla città
come centro dell’esistenza che, nell’ultima delle sue Satire, sottolinea in questi termini: «Da me stesso mi tol chi mi rimove / da la mia terra, e fuor non ne potrei / viver contento […]» (VII, 148-150), oppure «E s’io non fossi d’ogni cinque o sei / mesi stato uno a passeggiar fra il Domo / e le due statue de’ Marchesi miei; da sì noiosa lontananza domo / già sarei morto […]» (VII, 151-155). Perché tutto questo? Perché solo questa scelta convinta del genius loci, del suo abitare – in una sorta di gioco degli specchi – è stata in grado di pensare la Luna come contenitore vitale di tutto ciò che di umano è stato perduto sulla Terra.