Come previsto da molti, le consultazioni politiche svoltesi il 25 settembre hanno visto vincitore il Centrodestra. Un risultato che era nell’aria ma, nondimeno, si presta ad alcune osservazioni. Partiamo dal Centrodestra. Con una percentuale vicina al 44% il terzetto Meloni-Salvini-Berlusconi sbaraglia letteralmente la concorrenza e raggiunge la maggioranza assoluta in ambedue le Camere con numeri che permettono alla coalizione di governare. Una buona affermazione quella del Centrodestra, ma chi ha tutti i motivi per gioire è Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia è il primo partito della sua coalizione e del Paese, distanziando in maniera netta tutti gli altri, alleati e avversari, forse più di quanto fosse previsto. Distaccato di quasi sette punti il PD, uscito dalle urne secondo e sotto il 20%. Decisamente distaccati anche gli alleati Salvini e Berlusconi, ognuno dei quali ha raccolto all’incirca un terzo dei voti meloniani. Un vero e proprio tonfo, quello della Lega, che ha perso all’incirca i tre quarti del consenso raggiunto alle ultime elezioni europee e la metà di quello avuto alle scorse politiche. Non è andata tanto meglio a Forza Italia, che, con poco più dell’8%, è in evidente arretramento rispetto alle politiche del 2018, nelle quali aveva raggiunto il 14. È evidente che, all’interno del Centrodestra, adesso è la leader di FdI a dare le carte. Il partito di cui è stata fondatrice e che adesso dirige è passato, nell’arco di una legislatura, da poco più del 4% del 2018 al risultato attuale, che lo vede in vetta alla classifica con circa il 26%. Probabilmente la Meloni è stata in grado di dare una immagine di coerenza rimanendo all’opposizione dei governi Conte prima e del governo Draghi poi evitando di entrare in maggioranze più o meno eterogenee. Può darsi che Giorgia sia riuscita a mettere bene a frutto il suo ruolo di oppositrice solitaria al governo Draghi. È comunque probabile che il successo dei meloniani sia dovuto anche alle debacle degli alleati. Per quel che riguarda Forza Italia, il declino della creatura politica di Berlusconi è ormai in atto da diversi anni, e questo probabilmente ha agevolato il sorpasso a destra da parte della Meloni, la quale ha distanziato anche la Lega di Salvini, come si è già detto. Forse sul Capitano pesa ancora l’esperienza, conclusasi con una rottura, del primo governo Conte. Può anche darsi che quella voglia di cambiamento, che si era proiettata nel 2018 soprattutto su Lega e M5S, si sia orientata, dopo aver dato una chance a questi, verso un nuovo soggetto politico da mettere alla prova. In ogni caso, sia pure ridimensionati, Berlusconi e Salvini sono, numeri alla mano, due alleati indispensabili per il probabile governo Meloni, e di questa la leader di FdI dovrà tener conto. Chi è uscito veramente malconcio dalle urne è il Centrosinistra. Il principale partito dello schieramento, il PD di Letta, ha subito una Caporetto da cui non gli sarà facile riprendersi. Distanziato in maniera netta (come si è detto all’inizio) da FdI, il PD è sotto il 20%. Non solo: nelle urne è letteralmente evaporato ciò che restava delle cosiddette regioni rosse: il Centrodestra non ha soltanto vinto nelle Marche e in Umbria in maniera netta, confermando una tendenza in atto ormai da diversi anni nelle due regioni (che sono amministrate ambedue dal Centrodestra), ma ha sopravanzato PD e soci anche in Toscana e in Emilia Romagna, dove ormai restano al Centrosinistra solo alcune roccaforti. Una rendita di posizione nell’Italia centrale, quella del PD, è svanita nell’arco di pochi anni. Agli alleati di Letta non è andata tanto meglio: i rossoverdi di Alleanza verde e Sinistra si collocano al disopra dello sbarramento del 3% previsto dal Rosatellum ma +Europa resta sotto la soglia e il partito di Di Maio, Impegno Civico, è praticamente estinto. Tornando al PD, questo sconta un certo scollamento dal Paese reale. Indubbiamente una campagna elettorale incentrata in buona parte sui diritti civili in un frangente in cui le principali preoccupazioni degli italiani sono legate, a causa della crisi energetica ed economica in atto, al caro bollette, alla paura di perdere il lavoro e all’inflazione non è stata la migliore delle idee. Anche l’agitazione dello spauracchio del fascismo, ad opera di esponenti politici e opinionisti riconducibili al Centrosinistra, contro Giorgia Meloni con tutta probabilità non ha pagato. Probabilmente il PD targato Letta ha subito anche la concorrenza, sul piano elettorale, del M5S alla propria sinistra e del duo Renzi – Calenda alla propria destra. L’alleanza tra l’ex rottamatore e quello che fu il Ministro dello sviluppo economico del suo governo si è fermata a meno dell’8%, dietro, sia pure di poco, a Forza Italia. Può essere un punto di partenza, l’avvio della costruzione di una sorta di casa dei moderati destinata ad accogliere strada facendo altri compagni di viaggio provenienti da altri soggetti politici. Si vedrà. Certo è che quello nato per essere il Terzo Polo è in realtà arrivato quarto, largamente superato dal redivivo M5S (che ha preso il doppio dei voti) guidato da Giuseppe Conte. Dato per spacciato fino a pochi mesi fa, il movimento fondato da Grillo e Casaleggio, con più del 15% dei voti espressi, si è piazzato terzo dopo Centrodestra e Centrosinistra, arrestando, forse, un declino che pareva fino a questa estate irreversibile. Il Movimento, che su scala nazionale si è aggiudicato (conquistandone 15) quasi lo stesso numero di collegi uninominali del Centrosinistra (che ne ha conquistati 16) ha trovato a Napoli e provincia una solida roccaforte. La difesa del reddito di cittadinanza, una campagna elettorale basata sulla difesa dei diritti sociali e una certa abilità comunicativa dimostrata da Conte hanno permesso un risultato insperato. Nondimeno, il 32% raggiunto nel 2018 è soltanto un lontano ricordo per i pentastellati, destinati ora all’opposizione. Per il M5S, in sintesi, il bicchiere può essere considerato sia mezzo vuoto che mezzo pieno.
Marco Sfarra