Come era stato dai più previsto, le elezioni umbre hanno visto la vittoria del Centrodestra. Certamente, però, il distacco tra lo schieramento vincente e quello imperniato sul binomio PD-M5S è stato, attestandosi sul 20%, decisamente forte, segnando una sconfitta netta per le forze che sostengono l’attuale Esecutivo Conte. Non si è trattato, in ogni caso, di un fulmine a ciel sereno, ma del completamento di un processo in corso ormai da un bel po’. In effetti, al momento del voto, il Centrodestra si trovava già al governo di un numero minoritario ma significativo di comuni umbri, comprendenti oltre il 60% degli abitanti della regione.
Quindi la tendenza al cambio di colore politico era già palesemente in atto. Aggiungiamo a questo l’effetto, senz’altro deleterio per il PD, del recente scandalo che ha travolto l’amministrazione regionale uscente. Inoltre, ha senz’altro giocato contro l’alleanza PD-M5S la tempistica delle elezioni, ovvero una consultazione elettorale arrivata pochi mesi dopo la formazione dell’attuale governo che vede l’alleanza tra le due principali forze che compongono sì l’attuale maggioranza parlamentare, ma che per anni si sono date battaglia, anche in Umbria, in special modo allo scoppiare dello scandalo sopra menzionato. Per le ragioni su esposte, la partita, per i giallorossi, era decisamente difficile. Questo però porta ad alcune riflessioni.
È evidente che l’attuale elettorato è caratterizzato dalla mobilità più che dall’appartenenza ideologica. Ed è altrettanto evidente che anche nelle cosiddette regioni rosse il tradizionale radicamento sul territorio che il PD ha ereditato dalla tradizione comunista e post-comunista non basta più, da solo, a garantire la fedeltà degli elettori. Gli umbri, evidentemente insoddisfatti di chi li ha amministrati finora, hanno deciso, senza remore, di voltare pagina. Naturalmente, se la prima amministrazione di centrodestra dovesse deludere le aspettative, molto probabilmente sarebbe l’ultima, proprio grazie alla propensione degli elettori al cambiamento, propria dei tempi attuali.
Le ripercussioni sull’asse giallorosso non si sono fatte attendere: complice il risultato decisamente negativo della lista pentastellata, da parte dei vertici del M5S si è parlato di “esperimento” che “non ha funzionato” e quindi è da considerarsi “non più praticabile”, fermo restando che il governo insieme al PD andrà avanti. Tenuto conto dei distinguo e delle critiche provenienti anche dai renziani di Italia Viva, la riproposizione dell’attuale arco di forze politiche a sostegno del Governo nelle regioni dove si voterà l’anno prossimo sembra rimessa in forse, anche se dal M5S è stato lasciato aperto uno spiraglio, visto che si è parlato di valutare la possibilità di allearsi caso per caso.
Può darsi che, passato lo shock umbro, si ricominci a tessere i fili dell’alleanza… Va detto che, però, in vista delle prossime elezioni regionali, e ogni riferimento all’Emilia-Romagna, dove si voterà il 24 gennaio, è decisamente voluto, l’attuale politica economica giallorossa non sembra un buon biglietto da visita.
L’aumento della tassazione sulle auto aziendali, la sugar tax e soprattutto la cosiddetta plastic tax, di cui si sta tanto discutendo in questi giorni, se diventeranno legge a tutti gli effetti danneggeranno, con tutta probabilità, l’apparato industriale emiliano-romagnolo, tenuto conto della presenza in regione di una importante filiera dello zucchero e, soprattutto, del principale distretto dell’imballaggio plastico in Italia. E gli elettori emiliani e romagnoli, a quel punto, potrebbero votare di conseguenza.