Lo scenario politico si sta caratterizzando, secondo molti osservatori, per la tendenza ad un nuovo bipolarismo, contraddistinto dalla contrapposizione tra un centrodestra a trazione salviniana e un centrosinistra composto dalle attuali forze di governo, ovvero PD, M5S e Italia Viva di Renzi, a cui potrebbero unirsi varie formazioni minori.
Su questa possibile evoluzione del nostro panorama politico – di cui tra l’altro si vedono diversi segni – grava però più di una incognita. Ovvero: fino alla fine del governo Lega-M5S tra dem e pentastellati non sono mancati momenti di tensione e di contrapposizione anche relativamente forte, i cui strascichi sono ancora avvertibili. Inoltre, le relative basi, anche per il motivo appena menzionato, non sembrano tanto inclini ad un rapporto troppo stretto. Senza considerare la presenza del neopartito di Renzi, che, allo stato attuale delle cose, non sembra propenso a legarsi troppo con quelli che sono pur sempre gli attuali soci di governo.
Inoltre, l’attuale strategia dell’ex premier, caratterizzata da diversi distinguo nei confronti di Zingaretti e Di Maio (e di Conte), dalla ricerca di visibilità e dal tentativo, dichiarato, di collocarsi al centro dello scacchiere politico strizzando un occhio agli elettori di Forza Italia eventualmente delusi dalla deriva salviniana, non sembra preludere ad una virata a sinistra.
Lo stesso Renzi, parlando alla Leopolda, non ha mancato di ribadire che Italia Viva non intende dar vita ad una alleanza strutturale col M5S. La convivenza a quattro tra Conte, Di Maio, Renzi e Zingaretti, stando anche alla stampa, non sembra proprio idilliaca. Detto questo, allo stato attuale delle cose tutte le forze politiche di maggioranza dichiarano di voler proseguire con l’esperienza di governo e, in tutta franchezza, non è nel loro interesse agire diversamente, visti i numeri dei sondaggi. Inoltre, mentre il centrodestra è senz’altro una coalizione, l’attuale maggioranza, anche per i motivi già indicati non lo è. È chiaro che partiti che si sono combattuti per anni, come M5S e PD, a volte in maniera anche abbastanza dura, difficilmente riescono a dar vita ad una alleanza strutturale dall’oggi al domani. C’è però chi a questo sta lavorando, tant’è che in Umbria, dove si voterà domenica prossima, l’alleanza giallorossa è cosa fatta, anche se il partito di Renzi, se non altro per motivi logistici, non è della partita.
Lo stesso tipo di alleanza sembrerebbe in fase di allestimento in vista delle consultazioni che si terranno nel 2020 in diverse regioni. In Umbria, a causa dei recenti scandali che hanno coinvolto l’amministrazione uscente di centrosinistra, la partita per i giallorossi si preannuncia piuttosto difficile, anche se va detto che, se non si fosse arrivati ad un accordo M5S-PD, non ci sarebbe, per gli uni e gli altri, nessuna possibilità di competere col centrodestra a targato Lega. Centrodestra che, sia pure con qualche distinguo tra i tre soci principali, può contare – per lo meno allo stato attuale delle cose – su di una maggiore coesione e su di una leadership universalmente riconosciuta. Il voto umbro, con tutta probabilità, non sarà decisivo né per le sorti del governo né per quelle della maggioranza che lo sostiene. Ma se una rondine non fa primavera, quando le rondini – ovvero gli appuntamenti elettorali – saranno più di uno, e questo accadrà l’anno prossimo quando si voterà per eleggere gli amministratori di diverse regioni italiane, a quel punto la sorte degli attuali equilibri politici si delineerà con maggior chiarezza.
Verso un nuovo bipolarismo?
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