Riceviamo e pubblichiamo:
Le Associazioni Lav, Salviamo l’orso e WWF Italia hanno presentato, tramite gli avvocati Elisabetta Ercole e Michele Pezone, al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell’Aquila e al Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Sulmona una formale e dettagliata “istanza di impugnazione” per la sentenza del Tribunale di Sulmona del 10 aprile scorso che ha mandato assolta la persona che, nel 2014, era stata imputata per aver ucciso a fucilate un orso marsicano (specie particolarmente protetta dalle leggi italiane e europee) a Pettorano sul Gizio in Abruzzo.
Nel rispetto della decisione del giudice di Sulmona, ed esercitando i diritti attribuiti alle tre associazioni che si erano costituite parte civile nel processo, sono state contestate nel dettaglio, citando numerose risultanze istruttorie, le motivazioni della sentenza che avrebbero scagionato l’imputato perché, cadendo fortuitamente, avrebbe ucciso l’animale senza volerlo. La persona è stata assolta ‘perché il fatto non costituisce reato’, avendo ritenuto il Tribunale “l’insussistenza di elementi di prova sufficienti per poter affermare in termini di certezza la sussistenza della responsabilità penale dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti”.
Per le tre associazioni e i loro legali, invece, la responsabilità “al di là del ragionevole dubbio” è indubbia e accertata dai fatti prontamente e accuratamente ricostruiti dal personale dell’allora Corpo Forestale, dalla Procura di Sulmona e dalla perizia balistica presentata dalle Associazioni. I fatti oggettivi sono troppo numerosi e chiari per poter escludere la responsabilità di chi ha sparato con l’intenzione di uccidere l’orso: è accertato che l’animale, essendo stato raggiunto da colpi sparatigli alle spalle, non era rivolto verso il suo aggressore (fatto che esclude un atteggiamento di attacco) ma era già in fuga, ed è morto di peritonite causata dai pallettoni molte ore dopo essere stato colpito (quindi anche, presumibilmente, in seguito a molte sofferenze). Nello stomaco dell’orso sono stati rinvenuti resti di “specie avicole domestiche”, quindi l’evento delittuoso è collegabile a un atto di predazione da parte dell’animale a un pollaio. La perizia balistica disposta dalle parti civili costituite LAV e WWF “consentiva di acclarare che l’orso aveva subito i colpi mortali proprio nei pressi dell’abitazione dell’imputato”, come si legge nell’istanza delle Associazioni. L’imputato è un cacciatore, dunque abituato a fronteggiare e uccidere con armi da fuoco animali selvatici, anche grandi (come i cinghiali). I bossoli e i proiettili sparati da fucili compatibili con quelli sequestrati all’imputato sono stati trovati molto vicini al pollaio, all’interno della proprietà dell’accusato. Un pollaio (non recintato né protetto, come invece avrebbe dovuto essere) che era stato depredato proprio quella notte e nei giorni precedenti. Le dichiarazioni di alcuni testi, tra cui parenti diretti dell’imputato, risultano difficilmente spiegabili e illogiche, così come è illogica e fantasiosa la versione difensiva dello stesso imputato che, ricordiamo, ha ammesso di aver colpito l’animale ma ‘non volontariamente’: alla vista dell’orso si è spaventato e, nell’indietreggiare, è caduto a terra e, rimasto privo di sensi, è riuscito comunque a mantenere il fucile in mano e di indirizzarlo ‘erroneamente’ verso l’orso colpendolo ben due volte. Francamente la favola di Cappuccetto Rosso è più credibile!
Le tre Associazioni Lav, Salviamo l’orso e WWF Italia, mediante i loro legali, sottopongono quindi alla Procura una diversa versione dei fatti, sulla base di quanto emerso nel processo e durante le indagini, ovvero l’ipotesi di una vera e volontaria “esecuzione” dell’orso “reo” di aver predato alcune galline, del valore di pochi euro e non adeguatamente custodite, ucciso dopo essere stato scoperto nei pressi dell’abitazione dell’imputato.
Mantenendo assoluta fiducia nell’operato della Magistratura, le associazioni Lav, Salviamo l’orso e WWF Italia chiedono con forza alla Procura della Corte d’Appello dell’Aquila e del tribunale di Sulmona il loro impegno affinché venga riformata la sentenza del Tribunale di Sulmona e sia dato così un segnale deciso e chiaro a chi continua a depredare la biodiversità, ritenendo di essere al di sopra della legge.