Da Legambiente Abruzzo riceviamo e pubblichiamo:
Partiamo dall’attuale dotazione, già fortemente in eccesso. Nel 2014 i gasdotti e gli impianti di
rigassificazione europei sono stati utilizzati rispettivamente solo per il 58% e per il 32% della loro capacità. In effetti, le stime sulla domanda sono state nel tempo fortemente sovradimensionate. I consumi di gas nel 2015, previsti dalla Ue nel 2003, erano del 50% più elevati di quelli che si sono realmente registrati. E guardando avanti la sproporzione tra domanda e capacità di importazione salirà.
Secondo lo scenario della Ue nel 2030 le importazioni saranno di 328 miliardi di m3/anno a fronte di una capacità d’ingresso che già ora è di 600 miliardi m3/a. E, se verranno realizzate tutte le infrastrutture programmate, la capacità delle importazioni di metano in Europa arriverebbe a 1.000 miliardi m3/a, cioè un livello tre volte maggiore della domanda prevista. Peraltro, i consumi non potranno che diminuire in relazione alle politiche climatiche: ogni punto % di aumento dell’efficienza garantisce una riduzione del 2,6% delle importazioni di metano e il Parlamento Europeo ha proposto di alzare ulteriormente l’attuale obiettivo 2030 della Commissione sull’efficienza dal 30% al 40%. E nei decenni successivi le politiche di efficienza saranno più aggressive.
D’altra parte, è vero che la produzione interna di gas è destinata a calare in Italia come in Europa ma questa riduzione verrà più che compensata dalla produzione di biometano, potenzialità che secondo il CIB (Consorzio italiano biogas), sono tali da superare il 13% dei consumi e di creare 12mila posti di lavoro. Insomma, pur tenendo conto anche di altri parametri, come la sicurezza degli approvvigionamenti e le valutazioni geopolitiche sui paesi esportatori, l’attuale bulimia europea di gasdotti e rigassificatori evidenzia un serio pericolo di “stranded assets”, cioè di investimenti per opere che rischiano di rimanere inutilizzate. L’approvazione da parte del Governo centrale del progetto di realizzazione della centrale a compressione della Snam a Sulmona, come annunciato nei giorni scorsi, è l’ennesima contraddizione di questo scenario più ampio e debolezza di un’azione governativa che da un lato si è impegnata a perseguire radicali scenari di decarbonizzazione e dall’altro resta ancora schiacciata dalla pressione dei privilegi minacciati del mondo delle fossili (basti vedere sussidi e royalties). Ed è opportuno precisare che uno dei motivi veri degli ultimi aumenti in bolletta è lo “sconto” alle industrie energivore delle fossili che verrà pagato dagli altri consumatori, comprese le famiglie.
La situazione di Sulmona non troverà soluzione semplicemente con il congelare una scelta o da future
mediazioni volte a delocalizzare l’opera. Può essere risolta solo attraverso la rivisitazione di un progetto
vecchio di anni alla luce di un nuovo modello energetico, quello delle rinnovabili, che supera la gestione
centralizzata dei grandi monopoli transnazionali e che opta per una modalità decentrata e a favore della
dispersione aziendale e territoriale della generazione dell’energia, riportando al centro del dibattito il rispetto ed il ruolo dei territori.
E’ ormai noto che le utility europee, incluse quelle italiane, hanno dovuto chiudere anticipatamente decine di centrali termoelettriche. Un caso clamoroso di investimenti gettati al vento. La turbogas di Gissi, oltre 800MW di potenza, che lavora al minimo è la sconcertante testimonianza a noi più vicina.
“Questa centrale – dichiara Luzio Nelli, Legambiente Val Di Sangro – è la testimonianza di una cattiva
programmazione ed eccessiva attenzione verso il gas che con il decreto Marzano ha inondato il paese di
centrali a ciclo combinato, quasi tutte ferme. Su quella impostazione miope si continua ad investire, come nell’altro folle esempio che è l’impianto di estrazione di gas nel lago di Bomba, con annessa raffineria da collocare nel comune di Paglieta. La Val di Sangro torna ad essere teatro di lotta e di mobilitazione dei suoi cittadini contro le raffinerie, dalla storica mobilitazione contro la Sangro chimica degli anni 70 all’attuale situazione, con l’aggravante che questo progetto è stato già bocciato per la sua pericolosità con sentenza definitiva del consiglio di stato. Il tutto in un area industriale che dovrebbe guardare alle sfide del futuro, attraverso processi di decarbonizzazione dell’economia, dall’efficienza energetica, alle rinnovabili e alla generazione distribuita, in sintesi l’autosufficienza energetica dei distretti industriali. Invece, con grande contradizione si ripropone un vecchio modello industriale ed energetico, impattante e obsoleto che questo territorio ha già respinto. Un quadro a dir poco schizofrenico che vede avanzare il peggio del vecchio e chiudere il nuovo di qualità, come la Honeywell. Bisogna assolutamente uscire fuori dal nanismo di questa visione politica.”
Come non ricordare anche il gasdotto Larino-Chieti, tracciato di una lunghezza di 110 km, altra opera senza nessuna ricaduta per i territori ma strategica solo per chi la realizza, in quanto per stessa ammissione del proponente “vuole connettere le aree in cui dovrebbero essere perforati futuri pozzi per realizzare stoccaggi”. Tutto sembra, quindi, essere funzionale a mere logiche privatistiche e di mercato e non certo di servizio pubblico. La politica non scappi di fronte ai territori. Non si assumono in questo modo decisioni contro il territorio. Le situazioni di non dialogo venutesi a creare da Sulmona a Bomba e su altre aree, rischiano di peggiorare i contenuti emersi dalla bozza di Decreto che disciplina il dibattito pubblico in Italia, in attuazione del Codice degli appalti (D.lgs 50/2016): dal testo sono, infatti, esclusi tutti gli impianti energetici, gasdotti e oleodotti, trivelle, come centrali chimiche e impianti nucleari, mentre rimangono le infrastrutture. Viene di fatto stravolto il senso della procedura, mutuata dall’esperienza francese, nata con l’obiettivo di rendere finalmente trasparente il confronto con i territori sulle opere pubbliche attraverso una procedura che permettesse di informare e far partecipare le comunità interessate, attraverso garanzie sul coinvolgimento, risposte adeguate e tempi chiari. Il dibattito pubblico è uno strumento fondamentale non solo per informare i cittadini ma anche per costruire un confronto sull’utilità e l’impatto delle opere che vengono proposte nel nostro Paese. Ed
è tanto più importante oggi che abbiamo bisogno di spingere e di creare consenso su una transizione
incentrata sulle fonti rinnovabili e su impianti capaci di spingere l’economia circolare nel nostro Paese.
“Ecco perchè le nuove politiche – dichiara Giuseppe Di Marco, presidente Legambiente Abruzzo – sono un momento strategico per chiedere ai futuri parlamentari abruzzesi di mettere al centro della propria campagna elettorale questa sfida e l’impegno per una Strategia Energetica non più schiacciata dalle fossili ma che punta sulle rinnovabili e a ridurre la troppa attenzione verso il gas nella fase di transizione che potrebbe essere la causa di rallentamento della decarbonizzazione della nostra economia. Bisogna che l’Abruzzo sappia cogliere nella sfida energetica delle rinnovabili, riqualificazione urbana, mobilità sostenibile, agricoltura di qualità e stop al consumo di suolo, la nuova linfa necessaria a costruire una regione che abbia capacità di futuro. Serve tutto questo gas?” Ricordiamo che su questi temi ci sarà un dibattito pubblico giovedì 4 di gennaio, alle ore 17.00, a Bomba con la presenza del Presidente della regione, della provincia di Chieti, Sindaci e Associazioni, organizzato dal Comitato Gestione Partecipata Territorio, Legambiente e WWF.