In occasione del 72esimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, e dopo la deposizione della corona d’alloro avvenuta stamane al cippo commemorativo del campo di internamento di Istonio Marina, si è tenuto ieri sera, a partire dalle 19.30, al Teatro Rossetti, l’evento “La Shoah dei bambini di Terezìn”, concerto e reading a cura della Scuola Civica Musicale. Una folta partecipazione nel segno del “non dimenticare”.
Il vice sindaco Paola Cianci ha portato il saluto del sindaco Francesco Menna.
Questo il testo integrale del saluto del primo cittadino di Vasto:
“Cari Concittadini, saluto ciascuno di voi e vi ringrazio di vero cuore per aver voluto prendere parte a questa giornata in cui celebriamo il ricordo della Shoah, l’Olocausto del popolo ebraico ed, insieme, lo sterminio dei gruppi etnici e religiosi ritenuti “indesiderabili” dall’orrenda dottrina nazista.
Ringrazio la Scuola Civica Musicale, nella persona della Presidente Anna Maria Di Paolo, il Direttore Artistico del Teatro Rossetti, il Maestro Raffaele Bellafronte, per aver promosso la realizzazione di questo momento di arte e di memoria.
La Repubblica Italiana, nel 2000, e successivamente l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 2005, hanno consacrato il 27 gennaio di ogni anno, anniversario della liberazione dei reclusi sopravvissuti del campo di sterminio di Auschwitz, quale “Giorno della Memoria”.
Il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche entrarono nel campo di concentramento polacco, svelarono al mondo la tragedia di un eccidio senza pari nella storia dell’uomo.
Di quel giorno conserviamo diverse testimonianze dirette, realizzate dai cosiddetti “liberatori”, i soldati dell’Armata Rossa. Di tutti questi scritti, uno in particolare ha provocato la mia riflessione: l’autore, sconosciuto, si sofferma su due elementi principali: gli occhi e il silenzio.
Gli occhi dei reclusi erano “l’unico elemento che – scrive – ci trasmetteva umanità, in volti sfigurati, senza espressione, spersi, che non lasciavano trasparire emozione, o sollievo per la liberazione avvenuta”.
Quegli occhi hanno scosso dal profondo tanti soldati in quel giorno, perché erano indice di uno smarrimento vero, tanto celato quanto totale, che li aveva resi assuefatti, impermeabili al dolore…li aveva resi, davvero, “prigionieri della morte”.
E poi, il silenzio. Ciò che più di tutto lasciò sbigottiti i “liberatori”, era il silenzio che avvolgeva quel posto, quei viali, quelle rotaie, che sembrava aver soffocato anche la gioia per la fine di quel tempo, di quella storia di orrore.
Ancora oggi, chi visita luoghi come quello, resta senza parole vedendo i segni materiali dell’efferatezza che guidò l’agire di uomini contro altri uomini. Ma subito ci si accorge che si tratta di un silenzio che scuote il nostro cuore, che interpella dal profondo la nostra intimità: e allora sì, dobbiamo dire che è un silenzio che grida, che grida tutto il nostro disgusto per un odio che ci disarma e ci umilia.
All’improvviso, in questo silenzio che grida, ci sembra di vedere quei volti: volti che non vengono ad indicarci la strada dell’odio; al contrario, ci dimostrano quanto sia terribile l’opera dell’odio.
Carissimi, tante volte, in circostanze come questa, abbiamo ascoltato parole come “memoria”, “ricordo”, “rispetto”, e tante volte ci siamo interrogati su come l’uomo abbia potuto toccare il punto più basso della sua vita nel mondo: è una domanda che interroga le coscienze di ciascuno di noi, di chi vive il valore della fede come di chi cerca risposte nella sola ragione.
Capiamo subito che si tratta di questioni che né la fede né la ragione sono in grado di risolvere. Ma, allo stesso tempo, conosciamo la forza dirompente della memoria che non è, e non può essere, semplice ricordo, ma costituisce la via privilegiata per condurre la ragione a riconoscere il male come male, e a rifiutarlo; la memoria ci induce a sperimentare la bellezza del bene, della lotta contro il male.
Per questo, considero la memoria come un ponte aperto sul futuro: coltivarla pienamente significa vivere il futuro nell’oggi del nostro esistere. Infine, ma non da ultimo, vorrei invitarvi a riflettere sul valore della “democrazia”, una conquista infinitamente grande che subiamo, sempre più spesso, come una realtà acquisita, scontata.
Non è così. Essa è il fondamento del nostro benessere che dobbiamo custodire come un tesoro geloso, che dobbiamo sforzarci di garantire e difendere da quei pericolosi germi di intolleranza che purtroppo tornano puntualmente a manifestarsi. La memoria e la democrazia costituiscono l’unico antidoto in grado di poter impedire il ritorno a quelle terribili esperienze di dolore. Un protagonista ed instancabile testimone della Shoah, Primo Levi, scrisse: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.”
Avvertiamo, allora, la responsabilità della memoria, un imperativo morale che dobbiamo anzitutto alle giovani generazioni.
Educarle, ed aiutarle a diventare “memoria vivente”, è la nostra missione, perché nessun uomo torni mai a vedere l’oscurità di un mondo senza umanità. Grazie.”